Il Gavi Docg
La storia di Gavi non può essere distinta da quella del suo omonimo vino, così come da quella del suo Castello prima, e Forte poi: anzi, ad entrare per primo nella storia, quella documentata dalle carte d’archivio, fu proprio il vino.
Già nel 972, l’anno precedente quello della la prima menzione documentale del Castello, Teodolfo, vescovo di Genova, affittava vigne situate «in loco de gavi et in mariana»: ciò dimostra che già allora a Gavi e nel suo territorio esisteva si praticava la coltura della vite anche se, per trovare la prima menzione esplicita di un vinum clarum dobbiamo attendere il 1259, anno per il quale l’Archivio di Stato di Genova conserva un contratto di compravendita di vinum clarum stipulato «in burgo Gavii sub portico domus Communis». Questo contratto è un realtà una delle molte prove documentali dell’importanza della coltura della vite nel nostro territorio, all’epoca seconda solo alla cerealicoltura.
Le ricerche di Armando Di Raimondo provano che presso l’attuale Palazzo Comunale, nel 1604, in una stanza sotterranea, era murata una pila di marmo atta a misurare una quantità di vino pari a un terzarolo (corrispondente a una capacità di 53 litri), così definito in quanto era la terza parte di una mezzarola (quest’ultima, fatto singolare, corrisponde esattamente al barile, misura attualmente utilizzata per quantificare il petrolio). Oltre a questa, tra le misure di capacità erano conservate anche «un boccale da vino di bronzo con l’arma della Serenissima Repubblica sopra quale dalla parte di fuori resta scritto PINTA DE FUORI D’ONZE TRENTASETTE DEL ANNO 1601» (corrispondente a 2 litri) e una mezza pinta «parimente da vino di lottone con una croce sopra rilevata» (non in bronzo, ma in ottone).
L’autorità della Repubblica di Genova non si limitava, come in uno stato moderno, a garantire il mantenimento delle misure-campione, ma interferiva anche in altri aspetti della viticultura con risultati tutt’altro che positivi. Ad esempio, grazie alle ricerche di Armando Di Raimondo sappiamo che nel settembre 1595 Genova proibì la vendemmia fino al mese successivo, e questo nonostante le uve fossero già mature: le multe che il podestà di allora, Oberto Cella, comminava abbondantemente nonostante la richiesta dei rappresentanti della Comunità di Gavi di soprassedere, di sicuro arricchirono le casse della Repubblica.
Le ricerche di Armando Di Raimondo provano che presso l’attuale Palazzo Comunale, nel 1604, in una stanza sotterranea, era murata una pila di marmo atta a misurare una quantità di vino pari a un terzarolo (corrispondente a una capacità di 53 litri), così definito in quanto era la terza parte di una mezzarola (quest’ultima, fatto singolare, corrisponde esattamente al barile, misura attualmente utilizzata per quantificare il petrolio). Oltre a questa, tra le misure di capacità erano conservate anche «un boccale da vino di bronzo con l’arma della Serenissima Repubblica sopra quale dalla parte di fuori resta scritto PINTA DE FUORI D’ONZE TRENTASETTE DEL ANNO 1601» (corrispondente a 2 litri) e una mezza pinta «parimente da vino di lottone con una croce sopra rilevata» (non in bronzo, ma in ottone).
L’autorità della Repubblica di Genova non si limitava, come in uno stato moderno, a garantire il mantenimento delle misure-campione, ma interferiva anche in altri aspetti della viticultura con risultati tutt’altro che positivi. Ad esempio, grazie alle ricerche di Armando Di Raimondo sappiamo che nel settembre 1595 Genova proibì la vendemmia fino al mese successivo, e questo nonostante le uve fossero già mature: le multe che il podestà di allora, Oberto Cella, comminava abbondantemente nonostante la richiesta dei rappresentanti della Comunità di Gavi di soprassedere, di sicuro arricchirono le casse della Repubblica.
Il Cortese, assieme al grano e ad altri vitigni, fu protagonista di quella rivoluzione agricola che tra il XVI e il XVIII trasformò il territorio di quello che fu l’Oltregiogo Genovese. Le grandi famiglie di Genova, arricchite con il commercio e con l’esercizio della finanza a livello internazionale, investirono i lauti guadagni ottenuti da queste attività acquistando terreni agricoli (in precedenza appartenenti a famiglie locali oppure a monasteri o altri enti religiosi) su cui costruirono numerose Ville (molto più aziende agricole che non luoghi di villeggiatura) a ciascuna delle quali faceva campo una rete di Masserie anche molto distanti dalle ville stesse: una storia ancora questi tutta da scrivere (salvo alcune pregevoli monografie) che ha dato vita a un paesaggio che tuttora possiamo ammirare in Vallemme.
Con il XIX secolo, grazie alla razionalizzazione della coltura del vitigno Cortese adottata dal Marchese Cambiaso, e all’utilizzo della ferrovia come mezzo di trasporto per il vino in mercati anche molto lontani dal nostro territorio, possiamo affermare che il Gavi uscì dalla storia per entrare nell’età contemporanea.
Con il XIX secolo, grazie alla razionalizzazione della coltura del vitigno Cortese adottata dal Marchese Cambiaso, e all’utilizzo della ferrovia come mezzo di trasporto per il vino in mercati anche molto lontani dal nostro territorio, possiamo affermare che il Gavi uscì dalla storia per entrare nell’età contemporanea.
Notizie storiche a cura di Armando Di Raimondo
Si ringrazia la dott.ssa Giustina Olgiati dell’Archivio di Stato di Genova per aver rintracciato e trascritto l’atto di compravendita di vinum clarum del 1259
Per ulteriori informazioni: Consorzio Tutela del Gavi